Michela Andreozzi
Regista, attrice e sceneggiatrice
La lettura è lo slow food dell’anima.
In che modo la lettura ha influenzato il suo percorso artistico e personale come attrice?
Lo ha influenzato fin dall'inizio, perché il primo libro che mi hanno regalato i miei genitori a sei anni è stato “Le fiabe italiane” di Italo Calvino, che erano tutte storie meravigliose raccolte a livello regionale da Calvino e racchiuse in questi due volumi che io ho ancora, molto consumati, e che mi divertivo molto a leggere ad alta voce ai miei fratelli più piccoli, fratello e sorella, e a mettere in scena con delle rappresentazioni. Quindi il primo libro che ho avuto mio di proprietà e che ho letto era in realtà un libro di storie che si potevano non soltanto raccontare, ma anche vivere.
Quando affronta un nuovo personaggio, quanto conta per lei la lettura sia del copione che di eventuali materiali esterni utili nella costruzione del ruolo?
Quando recito, il copione per me è la Bibbia, ma lo è anche quando dirigo, nel senso che, quando scrivo e dirigo un film, per me il copione è tutto, lavoro il copione fino al giorno prima di entrare in scena e di solito leggo tutto quello che c'è da leggere sull'argomento prima perché, come moltissime donne, ho la sindrome dell'impostore. Ho sempre paura di non essere abbastanza preparata per affrontare un certo argomento per cui la lettura mi conforta, perché mi permette il confronto con chi ha trattato quel tema prima di me, in modo più approfondito magari, o più autorevole. Sono assolutamente una fan dell'approfondimento letterario e anche di lavorare alla scrittura del copione fino all'ultimo momento e di limarla, perfezionarla e, anche come attrice, basarmi sul copione è un ancora di salvezza. C'è una forma di protezione anche quando vado in scena da sola a teatro per esempio, io sono molto ripetitiva, ripeto sempre lo stesso copione raramente cambio frasi, magari integro qualcosa perché mi viene una battuta al momento ma devo ripetere le cose sempre nello stesso modo perché non è soltanto quello che dico ma anche il suono di quello che dico che mi supporta come, ad esempio, quando devo fare un monologo di un'ora e mezza ed è difficile ricordare tutto. Ecco il suono aiuta.
C'è un libro che considera fondamentale per la sua crescita come interprete?
Sì è il “Codice dell'anima” di Hillman che mi fu regalato tantissimi anni fa da un attore che era diciamo più avanti di me nella preparazione attoriale; era un attore già professionista e me lo diede da leggere. Pur non parlando di attori o di recitazione, parlava dell'uso del proprio talento in un modo così profondo, così puntuale, preciso che mi sono riconosciuta in tutte le pagine.
In un’epoca dominata dai contenuti veloci o digitali perché pensa che la lettura sia ancora uno strumento indispensabile per chi fa teatro o cinema?
Assolutamente sì perché bisogna riflettere sulle cose, bisogna lasciare che maturino, bisogna far
frullare, gemmare e fiorire quello che abbiamo dentro, bisogna lasciar decomporre quello che non va bene perché si apra un processo alchemico. Perché si trasformi in qualcosa altro bisogna darsi l’opportunità di attraversare e viaggiare attraverso una esperienza artistica. Si può fare soltanto con il tempo e i contenuti digitali non concedono il tempo alla riflessione, non hanno la fisicità, non devi girare le pagine, non hanno la relazione con il corpo e con la terza dimensione del libro, non hanno il tempo che ci vuole per leggerlo e per assimilarlo. Certo un libro si può leggere anche su un kindle però ci vuole tempo per assimilarlo e l’assimilazione del libro ha la necessità di avere
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